La festa

La demèneche de Sàn Gatàlle

SI RINGRAZIA PER IL CONTRIBUTO

Se qualcuno dovesse chiederci: «Che cosa vuol dire essere coratino?», potremmo dirgli, in rigoroso dialetto: «N v’dim la dmenic d San Gatalle». E poi ne riparliamo. Non suoni come una minaccia, ma come la risposta più naturale e spontanea che ci sia. Sì, è vero, ci sono altri appuntamenti tradizionali: “La matin de la chiazz” (ormai trasformata negli anni), il Carnevale coratino, i riti del triduo di Pasqua. Ma nulla esprime al meglio la coratinità come la festa del santo patrono ad agosto. Un evento atteso lungamente durante l’anno (pensiamo a quante volte ricorre la domanda «Quand’è San Cataldo quest’anno?») e che si consuma in quel fine settimana dopo Ferragosto.

La prima bomba carta del sabato mattina alle 8 apre la festa. Le luminarie accendono il centro. Le bancarelle sgomitano l’una accanto all’altra lungo il corso. Ogni centimetro quadro dello stradone è occupato di cose e persone. Dolciumi vari con quell’inconfondibile aria sapor mandorlato o zucchero filato, le varie specie animali in vendita (dal pesciolino all’uccellino), i tutorial per gli arnesi da cucina. E poi in quei tre giorni capita di rivedere praticamente chiunque tra parenti e amici. Persone che pensavamo aver dimenticato e che invece ricompaiono non senza qualche imbarazzo nel saluto a volte forzato. Tutta colpa dell’irrinunciabile giro di corso. Il circuito per eccellenza della nostra città. Uno solo non basta perché spesso il centro cittadino è macinato per chilometri e chilometri. Storie contenute in un foglio di due paginette distribuito negli anni ’60 in cui il prof. Cataldo Mastromauro, direttamente da Radio Bari, narrava, sotto forma di alcuni scritti in vernacolo, le vicende dei giorni di festa con i personaggi di mbà Catalle e mbà Iseppe e le mogli cummà Maria Antonia e cummà Graziell

Ma il clou arriva il giorno dopo. La dmenic d San Gatalle, appunto. Negli anni che furono era l’unico momento di svago di chi dedicava la propria vita al lavoro (spesso in campagna) e alla famiglia. Uomini e donne tiravano fuori dagli armadi il vestito migliore, comprato apposta per l’occasione. Non si poteva certo sfigurare alla messa di San Cataldo in chiesa Matrice, davanti a religiosi, politici e personalità importanti. Neanche il caldo insopportabile d’agosto permetteva strappi al protocollo. Tutti in fila in processione dietro la statua d’argento, mischiati tra politici e zizzì. Un corteo che anni fa si snodava lungo le vie del corso a mezzogiorno, prima di essere spostato al tardo pomeriggio. Finito il dovere religioso, ecco lo sparo di San Cataldo (anch’esso rinviato poi negli anni alla sera). Poi tutti a casa per i piaceri del palato. Il pranzo della dmenic d San Gatalle prevede due alternative: ragù di cavallo o pasta al forno come primo, braciole (o spangìedde) al sugo o carne alla brace per secondo. A seguire la frutta con anguria e melone prima di un gelato rinfrescante. Digestione e pennichella occupano le ore della controra, meglio se ringenerati da un ventilatore (o da un condizionatore oggi per chi può).

Le tradizioni del Santo

Anche il santo ha la sua macchina

Le luminarie sparse per il centro trovavano il loro massimo splendore in largo Plebiscito. Lì era posizionata la famosa macchina di San Cataldo, che non era un’automobile, ma la celebrazione più vistosa del santo. Era la costruzione di un tempio provvisorio che riproduceva la facciata di una cattedrale dallo stile gotico, sulla falsariga della chiesa dell’Incoronata, lì dove il culto di San Cataldo aveva inizialmente la sua sede. Un trionfo sfarzoso di luci e colori all’interno della quale veniva portata in processione il sabato la statua lignea del vescovo irlandese, prima del ritorno in chiesa Matrice il lunedì. Proprio lì, davanti alla vecchia sede del partito Comunista, i coratini interrompevano per qualche minuto di sosta i loro innumerevoli giri di corso. Mentre i suoni e i colori della festa rimbalzavano di bancarella in bancarella, mentre i bar facevano affari d’oro con l’immancabile gelato di San Cataldo, il patrono guardava tutti dalla sua macchina. Il drappo rosso campeggiava alle spalle della statua, con il contadino Quirico Trambotto e i buoi ai piedi del santo.

Ma la macchina di Largo Plebiscito, poi spostata nel chiostro del Comune, non è l’unica auto del santo. Altri veicoli caratterizzavano la festa, come raccontato all’inizio di questa storia. Facevano la loro comparsa ad agosto, con i bagagli stipati in ogni dove, le valigie di cartone stracolme per il ritorno nella terra d’origine. Perché Corato è San Cataldo, San Cataldo è Corato. Un binomio unico, inscindibile. Arrivavano da Roma, da Torino, da Milano, da Grenoble, dalla Germania. Spesso anche oltreoceano, dagli Stati Uniti, dal Canada, dal Venezuela. Li riconoscevi dalle targhe delle macchine, le frestìere. E dal loro accento maccheronico che tradisce ancora oggi le radici coratine.

Lo storico tempio di largo Plebiscito nel 1988

L’attuale macchina al Comune

La ruota panoramica di piazza Bolivar nel 1960

Le tradizioni del Santo

Le giostre e le bande del santo

I più giovani lo conoscono come luna park su via Sant’Elia. Ma tante generazioni di coratini sono cresciute con il mito delle giostre sul corso. Una delle poche occasioni per far tardi negli anni Sessanta e Settanta, assieme ai balli in terrazza che in quegli anni spopolavano anche nelle sere di San Cataldo. Le giostre occupavano il perimetro del corso ed erano il teatro dei sogni per grandi e piccini. Ce n’erano diverse nella loro semplicità e forse anche ingenuità, alcune restano davvero indimenticabili. Cosa sarebbe stato San Cataldo senza un giro sulle macchine da scontro, prima dislocate nel piazzale di San Giuseppe. O la ruota panoramica di Piazza Bolivar. E poi gli aerei, la giostra dei pagliacci e quella delle tazze in zona largo Plebiscito. Oppure, per chi desiderasse provare un’esperienza mozzafiato, il mitologico serpentone del bruco in piazza Grenoble. I tempi del Ranger e del Crazy dance erano ancora lontani.

I più grandi, dopo aver letto il programma nel leggendario cartellone lenzuolo, potevano gustarsi le note del Gran Concerto Bandistico Città di Corato del maestro Raffaele Miglietta in piazza Cesare Battisti. Le bande, che in città possono vantare una lunga tradizione secolare a partire dal 1815, allietano ancora la festa tra le strade della città sin dal sabato, prima di chiudere il corteo della processione del santo. E mentre prima il famoso sparo di San Cataldo era destinato all’ora di pranzo della domenica, successivamente è stato spostato alla sera, bissato a volte anche al lunedì nei pressi della stazione ferroviaria. Spesso il consenso popolare di un’amministrazione passava anche dalla qualità dei fuochi d’artificio in onore del santo patrono.

Le tradizioni del Santo

Le giostre e le bande del santo

I più giovani lo conoscono come luna park su via Sant’Elia. Ma tante generazioni di coratini sono cresciute con il mito delle giostre sul corso. Una delle poche occasioni per far tardi negli anni Sessanta e Settanta, assieme ai balli in terrazza che in quegli anni spopolavano anche nelle sere di San Cataldo. Le giostre occupavano il perimetro del corso ed erano il teatro dei sogni per grandi e piccini. Ce n’erano diverse nella loro semplicità e forse anche ingenuità, alcune restano davvero indimenticabili. Cosa sarebbe stato San Cataldo senza un giro sulle macchine da scontro, prima dislocate nel piazzale di San Giuseppe. O la ruota panoramica di Piazza Bolivar. E poi gli aerei, la giostra dei pagliacci e quella delle tazze in zona largo Plebiscito. Oppure, per chi desiderasse provare un’esperienza mozzafiato, il mitologico serpentone del bruco in piazza Grenoble. I tempi del Ranger e del Crazy dance erano ancora lontani.

I più grandi, dopo aver letto il programma nel leggendario cartellone lenzuolo, potevano gustarsi le note del Gran Concerto Bandistico Città di Corato del maestro Raffaele Miglietta in piazza Cesare Battisti. Le bande, che in città possono vantare una lunga tradizione secolare a partire dal 1815, allietano ancora la festa tra le strade della città sin dal sabato, prima di chiudere il corteo della processione del santo. E mentre prima il famoso sparo di San Cataldo era destinato all’ora di pranzo della domenica, successivamente è stato spostato alla sera, bissato a volte anche al lunedì nei pressi della stazione ferroviaria. Spesso il consenso popolare di un’amministrazione passava anche dalla qualità dei fuochi d’artificio in onore del santo patrono.

La ruota panoramica di piazza Bolivar nel 1960