Mons. Leonardo D’Ascenzo

Vescovo della diocesi Trani – Barletta – Bisceglie

Don Peppino Lobascio

Vicario episcopale

Michele De Lucia

Presidente deputazione maggiore di San Cataldo

Pasquale D’Introno

Sindaco della città di Corato

SI RINGRAZIA PER IL CONTRIBUTO

Il mio San Cataldo

IL RICORDO DI ALCUNI CORATINI

IL MIO SAN CATALDO

I tre sensi della festa patronale

Se mi soffermo a pensare a come, nella mia infanzia e poi da adolescente, ho vissuto la tanto attesa festa patronale coratina in onore del suo patrono san Cataldo, non posso fare a meno di proiettarmi in un istintivo parallelismo con il vino. Mi spiego: colore, olfatto, gusto. Sono i tre elementi centrali di un vino che vengono esaltati in una degustazione. Se ripenso alle serate in cui con la mia famiglia ci spostavamo da Bari a Corato, ospiti dei miei parenti più cari, per venire alla festa, la mente mi riporta immediatamente proprio a questi elementi.

Ripenso allo sfavillìo dei colori e delle luminarie che rappresentavano la sorpresa più grande, ogni anno diversa, per adulti e bambini. Un incanto che ci faceva sgranare gli occhi.

E poi i colori intermittenti delle giostre con i loro suoni e le musiche di moda del periodo. La mente mi riporta anche ai tipici odori e profumi che facevano da sfondo a tutto, per le strade del corso, sin dalla mattina: zucchero filato, pop corn, mandorle zuccherate, torrone. E per finire credo che i giorni della festa siano i più intensi dal punto di vista del gusto e della convivialità: famiglie intere finalmente riunite attorno a tavole ricolme dei più tipici piatti della tradizione coratina e della campagna. Così come il vino ha un’anima propria che narra la sua storia più intima, allo stesso modo ricordo la partecipazione spirituale di tutta la mia famiglia, cattolica e praticante, alle funzioni religiose. Un senso di appartenenza mi lega nel profondo a questa splendida città che meriterebbe più attenzione e maggior rispetto da parte delle istituzioni e di tutti noi cittadini.

BIO

FRANCESCO LIANTONIO, 54 anni, laurea in Economia e commercio, è presidente e amministratore delegato dell’azienda vitivinicola “Torrevento”. Tra i vari incarichi è anche presidente del Consorzio di tutela dei vini Doc Castel del Monte e di Valoritalia, società leader nelle certificazione obbligatorie e volontarie dei vini DOP italiani.

IL MIO SAN CATALDO

I tre sensi della festa patronale

BIO

FRANCESCO LIANTONIO, 54 anni, laurea in Economia e commercio, è presidente e amministratore delegato dell’azienda vitivinicola “Torrevento”. Tra i vari incarichi è anche presidente del Consorzio di tutela dei vini Doc Castel del Monte e di Valoritalia, società leader nelle certificazione obbligatorie e volontarie dei vini DOP italiani.

Se mi soffermo a pensare a come, nella mia infanzia e poi da adolescente, ho vissuto la tanto attesa festa patronale coratina in onore del suo patrono san Cataldo, non posso fare a meno di proiettarmi in un istintivo parallelismo con il vino. Mi spiego: colore, olfatto, gusto. Sono i tre elementi centrali di un vino che vengono esaltati in una degustazione. Se ripenso alle serate in cui con la mia famiglia ci spostavamo da Bari a Corato, ospiti dei miei parenti più cari, per venire alla festa, la mente mi riporta immediatamente proprio a questi elementi.

Ripenso allo sfavillìo dei colori e delle luminarie che rappresentavano la sorpresa più grande, ogni anno diversa, per adulti e bambini. Un incanto che ci faceva sgranare gli occhi.

E poi i colori intermittenti delle giostre con i loro suoni e le musiche di moda del periodo. La mente mi riporta anche ai tipici odori e profumi che facevano da sfondo a tutto, per le strade del corso, sin dalla mattina: zucchero filato, pop corn, mandorle zuccherate, torrone. E per finire credo che i giorni della festa siano i più intensi dal punto di vista del gusto e della convivialità: famiglie intere finalmente riunite attorno a tavole ricolme dei più tipici piatti della tradizione coratina e della campagna. Così come il vino ha un’anima propria che narra la sua storia più intima, allo stesso modo ricordo la partecipazione spirituale di tutta la mia famiglia, cattolica e praticante, alle funzioni religiose. Un senso di appartenenza mi lega nel profondo a questa splendida città che meriterebbe più attenzione e maggior rispetto da parte delle istituzioni e di tutti noi cittadini.

IL MIO SAN CATALDO

La mia maglietta di Paperina

Il primo è di quando ero bambina. Avevo una maglietta di Paperina che adoravo e così, una settimana prima della festa, smettevo di indossarla, per poterla avere pulita il giorno della festa. Nella mia testa di bambina, la gioia dell’attesa aveva l’aspetto di una maglietta. Una volta, si è sporcata di sugo subito dopo averla indossata. Ho pianto tantissimo, poi però ho deciso: non potevo rinunciare al mio “vestito buono” e così l’ho indossata comunque. Lei era sporca, io felice.

Il secondo ricordo risale alla mia adolescenza quando (e mentre scrivo stento a credere di averlo fatto davvero!) ho costretto i miei genitori con cui ero in vacanza a Pilone ad accompagnarmi a Corato per il giorno di San Cataldo (santo papá!). Ricordo le parole di mia madre: “Quando sarai grande, vedrai che ci andrai apposta in vacanza nei giorni di San Cataldo per evitare la confusione!” E le mie: “No, io a San Cataldo non mancherò mai!“.

Il terzo ricordo invece è molto emozionante per me e risale all’anno scorso, a quando per un tempo breve, ho ricoperto la carica di assessore. Ho partecipato alla processione del Santo e ho visto la città e la festa dall’altro lato: volti di anziani e bambini in particolare, ma anche ragazzi e ragazze, tutti vestiti in modo impeccabile (almeno dal loro punto di vista). Mi sembrava di essere l’obiettivo di una cinepresa che con un carrello in piano sequenza registrava i volti di più generazioni avvolti dal rito antico della festa popolare, dove si celebra il santo con gioia pagana. Ricordo di aver sorriso, contenta da morire di essere parte di questo meraviglioso, generoso, folle Sud.

BIO

CLAUDIA LERRO, 37 anni, è attrice, regista e autrice. Dopo essersi diplomata alla Lamda (Accademia arti drammatiche) di Londra ha completato la sua formazione a Roma. Ha vinto il premio “A. Corsini – Salviamo i talenti” con lo spettacolo “Riccardo e Lucia”, portato in scena anche in Parlamento e a New York. È fondatrice della scuola di teatro “Teatrificio 22” ed è stata assessore alla Cultura con il sindaco Mazzilli nel 2018.

IL MIO SAN CATALDO

La mia maglietta da bambina solo per la festa

BIO

CLAUDIA LERRO, 37 anni, è attrice, regista e autrice. Dopo essersi diplomata alla Lamda (Accademia arti drammatiche) di Londra ha completato la sua formazione a Roma. Ha vinto il premio “A. Corsini – Salviamo i talenti” con lo spettacolo “Riccardo e Lucia”, portato in scena anche in Parlamento e a New York. È fondatrice della scuola di teatro “Teatrificio 22” ed è stata assessore alla Cultura con il sindaco Mazzilli nel 2018.

Il primo è di quando ero bambina. Avevo una maglietta di Paperina che adoravo e così, una settimana prima della festa, smettevo di indossarla, per poterla avere pulita il giorno della festa. Nella mia testa di bambina, la gioia dell’attesa aveva l’aspetto di una maglietta. Una volta, si è sporcata di sugo subito dopo averla indossata. Ho pianto tantissimo, poi però ho deciso: non potevo rinunciare al mio “vestito buono” e così l’ho indossata comunque. Lei era sporca, io felice.

Il secondo ricordo risale alla mia adolescenza quando (e mentre scrivo stento a credere di averlo fatto davvero!) ho costretto i miei genitori con cui ero in vacanza a Pilone ad accompagnarmi a Corato per il giorno di San Cataldo (santo papá!). Ricordo le parole di mia madre: “Quando sarai grande, vedrai che ci andrai apposta in vacanza nei giorni di San Cataldo per evitare la confusione!” E le mie: “No, io a San Cataldo non mancherò mai!“. Ovviamente, aveva ragione mia madre.

Il terzo ricordo invece è molto emozionante per me e risale all’anno scorso, a quando per un tempo breve, ho ricoperto la carica di assessore. Ho partecipato alla processione del Santo e ho visto la città e la festa dall’altro lato: volti di anziani e bambini in particolare, ma anche ragazzi e ragazze, tutti vestiti in modo impeccabile (almeno dal loro punto di vista). Mi sembrava di essere l’obiettivo di una cinepresa che con un carrello in piano sequenza registrava i volti di più generazioni avvolti dal rito antico della festa popolare, dove si celebra il santo con gioia pagana. Ricordo di aver sorriso, contenta da morire di essere parte di questo meraviglioso, generoso, folle Sud.

IL MIO SAN CATALDO

Il nome Aldo e la festa con il nonno

Se penso a San Cataldo mi torna in mente mio nonno paterno Cataldo che non ha mai dato a vedere il suo “disappunto” per il primo (ed unico) nipote maschio – il sottoscritto appunto – cui fu dato il nome di Aldo.

E, tuttavia, con l’arguzia e l’intelligenza contadina, quando ho raggiunto l’età per intendere e volere, da quel momento mio nonno Cataldo ha deciso di mostrare a me e, soprattutto, ai miei genitori, cosa mi ero perso. Obbligatoria, dunque, la presenza al suo fianco nelle cerimonie religiose durante le feste comandate: vuoi mettere quante ricorrenze ha San Cataldo, per la morte, la nascita, a marzo e poi a maggio? Senza contare il grande evento, la celebrazione per eccellenza: la festa patronale di agosto.

Ma per un ragazzino il colpo di grazia stava nel profano: le gazzose sedute ai tavolini del Circolo Enalc (o come lo chiamava lui “l’Enál”) orgogliosamente disposti su corso Mazzini nel mezzo della folla sciamante. E poi, soprattutto, i regalini alla fiera, tra i quali, oltre a torroni e dolciumi, non potevano mancare i pesci rossi (con annessa vaschetta e mangime) programmati esattamente per resistere fino alla festa patronale dell’anno successivo.

Attraverso il ripetersi sempre uguale di questi riti mi si è inculcato nella testa che in realtà io sono Cataldo, al di là delle anagrafi e dei certificati, perché la mia radice sta là, intorno a quello stradone, al seguito di quelle statue, di fronte alla macchina di San Cataldo, seduto ai tavolini de l’Enál accanto a mio nonno.

Da quel momento non c’è stato parente, compagno di scuola, amico per il quale io non sia confidenzialmente “Catà”.

BIO

ALDO PATRUNO, 46 anni, dal gennaio 2016 è direttore generale del Dipartimento Cultura e Turismo della Regione Puglia. In precedenza ha maturato una lunga  esperienza nel settore privato e nel settore pubblico (presso la direzione generale dell’Agenzia del Demanio) sulla riqualificazione e valorizzazione dei patrimoni pubblici.

IL MIO SAN CATALDO

Il nome Aldo e la festa con il nonno

BIO

ALDO PATRUNO, 46 anni, dal gennaio 2016 è direttore generale del Dipartimento Cultura e Turismo della Regione Puglia. In precedenza ha maturato una lunga  esperienza nel settore privato e nel settore pubblico (presso la direzione generale dell’Agenzia del Demanio) sulla riqualificazione e valorizzazione dei patrimoni pubblici.

Se penso a San Cataldo mi torna in mente mio nonno paterno Cataldo che non ha mai dato a vedere il suo “disappunto” per il primo (ed unico) nipote maschio – il sottoscritto appunto – cui fu dato il nome di Aldo.

E, tuttavia, con l’arguzia e l’intelligenza contadina, quando ho raggiunto l’età per intendere e volere, da quel momento mio nonno Cataldo ha deciso di mostrare a me e, soprattutto, ai miei genitori, cosa mi ero perso. Obbligatoria, dunque, la presenza al suo fianco nelle cerimonie religiose durante le feste comandate: vuoi mettere quante ricorrenze ha San Cataldo, per la morte, la nascita, a marzo e poi a maggio? Senza contare il grande evento, la celebrazione per eccellenza: la festa patronale di agosto.

Ma per un ragazzino il colpo di grazia stava nel profano: le gazzose sedute ai tavolini del Circolo Enalc (o come lo chiamava lui “l’Enál”) orgogliosamente disposti su corso Mazzini nel mezzo della folla sciamante. E poi, soprattutto, i regalini alla fiera, tra i quali, oltre a torroni e dolciumi, non potevano mancare i pesci rossi (con annessa vaschetta e mangime) programmati esattamente per resistere fino alla festa patronale dell’anno successivo.

Attraverso il ripetersi sempre uguale di questi riti mi si è inculcato nella testa che in realtà io sono Cataldo, al di là delle anagrafi e dei certificati, perché la mia radice sta là, intorno a quello stradone, al seguito di quelle statue, di fronte alla macchina di San Cataldo, seduto ai tavolini de l’Enál accanto a mio nonno.

Da quel momento non c’è stato parente, compagno di scuola, amico per il quale io non sia confidenzialmente “Catà”.